A 100 ANNI DAI “LIBERI E FORTI” DI DON STURZO. PERCHÉ TANTO INTERESSE? Di Giuseppe Lumia
Sono passati ben 100 anni dall’appello lanciato da Don Sturzo “a tutti gli uomini liberi e forti”.
Sgorga curiosità e interesse per il pensiero politico di questo coraggioso e originale Sacerdote che è sicuramente da apprezzare ma anche da capire.
La crisi del pensiero popolare in Italia e in Europa è sotto gli occhi di tutti. È una crisi profonda, come anche quella del pensiero progressista. I due pensieri brancolano nel buio, annaspano, un po’ perché sono stati sviliti, mortificati e buttati nella polvere da una classe dirigente mediocre e incapace, un po’ perché le inedite sfide interne all’Occidente e alla globalizzazione hanno spiazzato alcuni presupposti teorici e culturali su cui si reggevano. Ma lo spaesamento dei popolari e dei progressisti non può e non deve durare a lungo, perché sta generando dei vuoti che a partire da filoni populisti e sovranisti rischiano di far davvero male all’umanità.
Ritornare allora alla radice non può far male, anzi tutt’altro! Stesso ragionamento vale anche per Gramsci e Gobetti e altri pensatori dei vari filoni emancipativi del cammino del pensiero moderno.
In Don Sturzo si annidano ancora diverse idee stimolanti su cui lavorare. Ne cito una su tutte, per la rilevanza sociale che ha, sulla quale abbiamo fatto, in questi ultimi anni, errori micidiali. Mi riferisco al ruolo delle Autonomie Locali. L’Italia ha costruito nel valore del territorio una storia straordinaria che la contraddistingue e ne fa un punto di identità. Verso la fine della prima Repubblica gli Enti Locali si erano trasformati in macchine spesso clientelari e di intermediazione burocratica, affaristica e in molti casi anche mafiosa. Lavorarci sopra con rigore e severità è stato un bene. Avere ecceduto in tagli di spesa pubblica e in razionalizzazione (cioè chiusura) dei servizi pubblici essenziali e vitali, come Scuole, Ospedali e Tribunali, alla fine si è rivelato un vero e proprio male.
Se ci fossimo rifatti realmente a don Sturzo questo errore non lo avremmo certamente commesso.
La Scuola, la Sanità, la Giustizia “di prossimità” sono straordinarie risorse da cui ripartire e bisogna smetterla di considerarle un limite allo sviluppo sostenibile. Così anche le Province, semmai, andavano realmente cancellate per passare ai liberi Consorzi dei Comuni, come proponeva Don Sturzo. Anche su questo si sono fatti errori grossolani, per cui oggi abbiamo un sistema ibrido di governance delle Province che fa acqua da tutte le parti.
Naturalmente non basta tornare all’origine per ridare vigore al pensiero popolare. C’è anche la necessità di osare con coraggio pensieri nuovi: ad esempio, per superare la ormai fallimentare Unione Europea e per evitare che si ritorni allo schema disastroso dello Stato-Nazione, occorre investire progettualmente e senza esitazioni sugli Stati Uniti d’Europa. Don Sturzo oggi sicuramente, di fronte a questa esaltante sfida, non si sarebbe tirato indietro.
Sgorga curiosità e interesse per il pensiero politico di questo coraggioso e originale Sacerdote che è sicuramente da apprezzare ma anche da capire.
La crisi del pensiero popolare in Italia e in Europa è sotto gli occhi di tutti. È una crisi profonda, come anche quella del pensiero progressista. I due pensieri brancolano nel buio, annaspano, un po’ perché sono stati sviliti, mortificati e buttati nella polvere da una classe dirigente mediocre e incapace, un po’ perché le inedite sfide interne all’Occidente e alla globalizzazione hanno spiazzato alcuni presupposti teorici e culturali su cui si reggevano. Ma lo spaesamento dei popolari e dei progressisti non può e non deve durare a lungo, perché sta generando dei vuoti che a partire da filoni populisti e sovranisti rischiano di far davvero male all’umanità.
Ritornare allora alla radice non può far male, anzi tutt’altro! Stesso ragionamento vale anche per Gramsci e Gobetti e altri pensatori dei vari filoni emancipativi del cammino del pensiero moderno.
In Don Sturzo si annidano ancora diverse idee stimolanti su cui lavorare. Ne cito una su tutte, per la rilevanza sociale che ha, sulla quale abbiamo fatto, in questi ultimi anni, errori micidiali. Mi riferisco al ruolo delle Autonomie Locali. L’Italia ha costruito nel valore del territorio una storia straordinaria che la contraddistingue e ne fa un punto di identità. Verso la fine della prima Repubblica gli Enti Locali si erano trasformati in macchine spesso clientelari e di intermediazione burocratica, affaristica e in molti casi anche mafiosa. Lavorarci sopra con rigore e severità è stato un bene. Avere ecceduto in tagli di spesa pubblica e in razionalizzazione (cioè chiusura) dei servizi pubblici essenziali e vitali, come Scuole, Ospedali e Tribunali, alla fine si è rivelato un vero e proprio male.
Se ci fossimo rifatti realmente a don Sturzo questo errore non lo avremmo certamente commesso.
La Scuola, la Sanità, la Giustizia “di prossimità” sono straordinarie risorse da cui ripartire e bisogna smetterla di considerarle un limite allo sviluppo sostenibile. Così anche le Province, semmai, andavano realmente cancellate per passare ai liberi Consorzi dei Comuni, come proponeva Don Sturzo. Anche su questo si sono fatti errori grossolani, per cui oggi abbiamo un sistema ibrido di governance delle Province che fa acqua da tutte le parti.
Naturalmente non basta tornare all’origine per ridare vigore al pensiero popolare. C’è anche la necessità di osare con coraggio pensieri nuovi: ad esempio, per superare la ormai fallimentare Unione Europea e per evitare che si ritorni allo schema disastroso dello Stato-Nazione, occorre investire progettualmente e senza esitazioni sugli Stati Uniti d’Europa. Don Sturzo oggi sicuramente, di fronte a questa esaltante sfida, non si sarebbe tirato indietro.
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